Nessuno di noi può essere giudicato quando il cancro bussa alla propria porta; ognuno di noi ha diritto ad affrontare la battaglia come meglio crede, a essere rispettato, a essere trattato con gentilezza e tatto quando sta combattendo contro il nemico più grande. C’è chi sfata il dolore urlando al mondo la propria condizione, c’è chi nasconde la propria testina calva sotto parrucche impercettibili e imperterrito non molla il posto di lavoro.
Così da quasi due anni il cancro non molla la mia più cara paziente e lei, dal canto suo, non vuole mollare, perché è tosta più di lui; lei non può mollare; lei ha sempre troppo da fare in questa vita, per mollare. Non vuole che nessuno sappia, che nessuno capisca, che nessuno sguardo la fissi compassionevole per la sua malattia. Rispetto, solo questo ci chiede.
Avere meno di quarant’anni e lottare contro il cancro, per la seconda volta per altro, appare, da fuori, come un maledetto accanimento per espiare chissà quale colpa. Nessun genitore dovrebbe vedere il proprio figlio soffrire per la malattia per eccellenza, nessun innamorato dovrebbe pregare in silenzio tutte le divinità del mondo per far sì che la propria donna resti in vita, nessun’amica dovrebbe immaginarsi da sola senza la sua compagna di viaggi.
La mia paziente si lascia andare a volte, umanamente. Si lascia andare e lascia entrare nella sua testa e nel suo cuore le paure umane che il cancro e le terapie amplificano: lo sapevate che le ultimissime immunoterapie migliorano la qualità della vita perché impediscono ai capelli di cadere e alle stomatiti di prendere il largo, ma si accaniscono brutalmente sul tono dell’umore, sulla voglia di vivere e di lottare, sul sorriso di chi cerca di stare aggrappato alla vita?
La mia paziente si rialza ogni volta, perché so che la forza te la trovi dentro quando affronti un percorso del genere. Quella forza che le fa dire di sì con la testa ogni volta che l’equipe di oncologi si consulta e le propone il nuovo percorso di cura, perché all’ultima TAC una piccola lucina si è accesa, come un alberello di Natale, a dire che lì, nel lobo destro del fegato, si è formata una metastasi. La mia paziente mi guarda e, sorridendo, mi dice “E pensare che questo maledetto linfoma sembrava così piccolo quando è apparso nella mia vita”.
“Come posso aiutarmi?” Mi chiede, ogni volta.
Perché sa che lo stile di vita, l’alimentazione, l’attività fisica controllata, la nutraceutica, la dermocosmesi mirata possono aiutarla. Sa che ci sono cibi che stimolano la crescita tumorale, che la sedentarietà non aiuta a rigenerare i tessuti danneggiati; sa che esistono integratori mirati per potenziare il sistema immunitario lavorando in sinergia con le terapie e che alcuni dermocosmetici sono studiati appositamente per la sua pelle diventata fragile, fissurata e disidratata dalle terapie. E poi sa che esistono la parola, il sorriso, la professionalità che ti danno quell’incoraggiamento in più di chi ci crede quanto te, quasi fosse la sua quella dannatissima diagnosi.
Essere farmacia oncologica è questo. E’ curare quella parte forse dimenticata di un paziente oncologico deospedalizzato che, sul territorio, non ha un punto di riferimento per il dubbio, il dialogo, l’accoglienza, l’aiuto e specializzarsi come farmacia oncologica è costruttivo per noi farmacisti, per la nostra crescita professionale ed etica. E’ il valore umano che fa la differenza per il lieto fine che tutti desideriamo.
Fonte: Farmacista33.it
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Dottoressa Elisabetta Vicentini
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